L’eccezionale calcio della Corea del Nord

L’eccezionale calcio della Corea del Nord

 

di Giovanni Armillotta

Giovanni ArmillottaRUBRICA LE VERITÀ NASCOSTE. Prendendo spunto da ’55 anni di calcio della Repubblica popolare democratica di Corea’ di Marco Bagozzi, parliamo del valore tecnico e storico del calcio fra le mura dello “Stato eremita”. La geopolitica del pallone comunista eretico.

Una delle più grandi ingiustizie storiografiche calcisticheè la gloria attribuita da terzi alla Corea del Nord per il solo fatto di aver battuto l’Italia quarantacinque anni fa ai Mondiali. Una nazionale, la nostra, per giunta mediocre in quanto impostata sul consunto e acciaccato blocco bolognese. Furono soltanto sfiorate dalle convocazioni le due più forti squadre d’allora: i campioni del mondo e d’Italia in carica dell’Internazionale, e il Napoli di Fiore e Pesaola.

Ero bambino, ma ricordo benissimo quando l’allenatore Edmondo Fabbri comunicò la formazione “coreana”: tutti si stupirono che Bulgarelli – col ginocchio a pezzi – scendesse in campo (allora non erano previsti cambi!) e non fosse stato sostituito dal napoletano Juliano. La Repubblica democratica popolare della Corea non poteva far altro che vincere.

I nordcoreani per beccarsi quest’immeritata fama di “ammazzitaliani” ebbero, appunto, la disgrazia di capitare con la nazionale del paese che albergava il più forte partito comunista occidentale. A quel tempo, il clima pre-brigatista “bevemo e magnijamo”/Patto di Varsavia-Roma-Pci non solo apportava frutti appetitosi [1], bensì aveva commissionato agli ‘embedded’ caserecci un vasto “asse del male” nel cortile di casa, costituito da Albania, Cina e, appunto, Corea del Nord, su cui scaricare le proprie frustrazioni da “antistalinisti si nasce”, parafrasando ‘ex ante’ Enrico Vaime.

Per giustificare la perfidia dello Stato eremita, la pubblicistica pilotata di cui sopra (la quale aveva, per mera negligenza, ben poche notizie sui “misteriosi” asiatici) arrivò addirittura alla bufala intercontinentale che la nazionale comunista coreana si fosse allenata tre settimane nell’impenetrabile paese di Enver Hoxha per acclimatarsi all’atmosfera europea e abbattere il dominio calcistico dei capitalisti occidentali e dei revisionisti sovietici.

Non vi dico l’imbarazzo quando si seppe che i figli di Kim Il-sung avevano invece soggiornato sul suolo dei più fedeli alleati di Mosca: la Germania Democratica. Sarebbe bastata una telefonata da Berlino ovest a est, da parte di qualche collega [2], nemmeno da Pulitzer, per saper tutto, e non far passare il poco scibile filtrato come fosse un dono della Cia. Siccome tutto ciò di realmente comunista doveva passare per terrorizzante (eccettuato quindi il bepponismo-doncamillismo), furono inventate le più colossali castronerie della storia del giornalismo sportivo e non solo.

Il “famigerato” Pak Doo-ik, autore della rete contro l’Italia, fu trasformato in dentista. Ossia la raffigurazione di un rispettato professionista che in Occidente avrebbe avuto ben altre funzioni ed emolumenti che non tirare calci al pallone per guadagnarsi miserevolmente da vivere. Mi ricordava quel manifesto stampato dalla Dc alla vigilia del 18 aprile 1948: “Cittadino, sveglia! Gli attori di Hollywood mai voterebbero Fronte popolare!”. E ci credo! Comunque, Pak era un caporal-maggiore dell’esercito con ruolo di tipografo. Le fesserie non sono finite qui, v’erano pure per il dopo.

Data l’eliminazione nei quarti di finale ad opera del Portogallo (da 0-3 a 5-3 con l’aiuto decisivo dell’arbitro israeliano [3]), la stampa s’inventò che i calciatori coreani, al ritorno in patria, erano stati puniti severamente per i loro festeggiamenti borghesi all’indomani della vittoria con l’Italia. Tutti arrestati, deportati, torturati, fucilati, eccetera. Lo stesso Pak fu ollivuddizzato quale autore di un’avventurosa “fuga per la vittoria” da un campo di concentramento nel 1997.

Ai peregrini depositari di tali verità era completamente sfuggito – in malafede – che i calciatori rossi furono accolti trionfalmente al loro arrivo a P’yŏngyang e che Pak & Co. svolgessero normale vita e attività sportive. Quest’ultimo è stato commissario tecnico della nazionale alle Olimpiadi 1976 e alle qualificazioni per i Mondiali del 1990. Tutti assieme tornarono nel 2002 a Middlesbrough, ove i figli della classe operaia di fine anni Sessanta accolsero i loro beniamini con grande affetto.

Non mi spiego ancora come mai le tv e le radio italiane nel luglio 1966 si meravigliassero che allo stadio di quella città tutti i lavoratori inglesi tifassero per la rossa Corea del Nord e non per l’Italia bianco-rosata. Se giocassero Inghilterra e Corea del Nord, perché dovrei tifare per la prima?

Quanto raccontato è una minima parte di ciò che leggiamo nel recente libro di Marco Bagozzi, Con lo spirito Chollima. 55 anni di calcio della Repubblica popolare democratica di Corea (4). Il volume percorre le vicende del calcio internazionale nordcoreano dal 1955 al 2010. Esse sono strettamente collegate alle attività dei paesi socialisti con i quali lo sport di P’yŏngyang s’è confrontato per lungo tempo.

Si scoprono tornei di grande valore tecnico, completamente sconosciuti in Occidente a causa dell’autocensura della stampa sportiva europea ed italiana, dovuta non a disinteresse da parte di tifosi e appassionati bensì – al contrario – col proposito che il silenzio facesse pensare all’inesistenza di altri fenomeni che non fossero i soliti. Della “nostra” stessa Mitropa Cup si parlava poco, e solo se c’era qualche italiana, poiché era considerata una manifestazione dominata dai comunisti.

Andando più in là nelle pagine esploriamo tornei intercontinentali (come i Ganefo) in cui l’impatto geopolitico si commisurava alle presenze dei paesi emergenti e in via di sviluppo: quel Terzo Mondo senza regole e non allineato, guidato dal predetto “asse del male” che faceva storcere la bocca ai funzionari sportivi di Cio, Fifa, Usa e Urss. Notevole spazio è dedicato sia ai Campionati nazionali coreani dal 1921 sia agli sforzi unitari operati dal calcio del Nord.

Apprendiamo, inoltre, con vero stupore che calciatori nordcoreani giocano all’estero dal 1998 e allenatori siedono su panchine straniere addirittura dal 1970. Rilievo fondamentale è dato dall’autore al calcio femminile, di cui la Rdp della Corea è fra le massime interpreti a livello mondiale.

Il testo, infine, è corredato da foto rarissime, comprese immagini di manifesti sportivi e riproduzioni di francobolli commemorativi. I dati statistici sono ben curati ed è illustrata ricca bibliografia che rende l’opera unica nel panorama saggistico italiano.

(1) Prima ancora della Fiat nella citta russa di Togliatti (erroneamente detta: Togliattigrad), cfr. p. 59 di Giovanni Armillotta, ‘Percezione geopolitica dell’Inter fra Occidente e Oriente’, in Qs Limes 2/2005 “La palla non è rotonda“.
(2) Così come fece l’Unità con le corrispondenze di Roberto Frosi dal territorio tedesco-orientale.
(3) Non per nulla la Rdp della Corea alle eliminatorie per i Mondiali messicani del 1970 si ritirò nel sottogruppo B del gruppo 14 Asia-Oceania, composto da: Australia, Israele e Nuova Zelanda.
(4) “Chollima, il leggendario cavallo alato, poteva coprire un migliaio di ri in un sol balzo, superando altissime montagne e vaste distese, attraverso nebbia e nuvole. Questa è l’origine del ‘movimento Chollima’, un movimento collettivo ed innovatore dei lavoratori, che simbolizza la velocità vertiginosa della costruzione dello spirito rivoluzionario della Corea” (Baik Bong, ‘Kim Il Sung’, 1960-1970, vol. II: ‘From Building Democratic Korea to Chollima Flight’).

(14/12/2011)