Lo sport della Corea del Nord contro i “dilettanti” d’Occidente

di Giovanni Armillotta

Giovanni ArmillottaRUBRICA LE VERITÀ NASCOSTE. Un nuovo libro su Pyongyang è l’occasione per demolire alcuni dei luoghi comuni politico-ideologici imperanti nel nostro paese, a Muro di Berlino caduto.

Una delle più grossolane mistificazioni del secolo breve ha riguardato l’odio tipicamente occidentale verso il dilettantismo di Stato, la cui tradizionale rendita olimpica venne erosa dai “comunisti” a partire dal 1952. Istituto ideato e creato oltre un secolo fa dagli svedesi, poi copiato e sviluppato a partire dagli anni Venti da Italia fascista, Germania nazista e Urss (assieme ai rispettivi alleati, europei e non), quindi da mongoli, cinesi e cubani con ottimi e noti risultati.

 

Dalla fine degli anni Quaranta lo sprovveduto tifoso, prendendo come esempio il calcio, diceva: «La nazionale alle Olimpiadi non possiamo schierarla. Siamo professionisti; anche i comunisti lo sono, ma con la scusa che non ci sono padroni, si dichiarano dilettanti e vincono sempre».

 

Tempo fa un ragazzo prese la parola a una conferenza e dichiarò d’essere talmente entusiasta degli ori del poliziotto Daniele Masala nel pentathlon moderno (Los Angeles 1984) da voler intraprendere tale sport. A fine incontro gli dissi: «Ma tu sei ricco di famiglia o risulti già iscritto a una società sportiva di Stato quale Corpo forestale, Esercito, Fiamme azzurre, gialle, oro eccetera?». Fu un colpo mortale per le sue ingenue speranze: con papà impiegato e mamma maestra, faceva parte di una piccola associazione sportiva di un quartiere di provincia.

 

Mettiamo da parte il ventennio olimpico fra i giochi di Seul e quelli di Pechino (1988-2008) e concentriamoci sugli ori italiani di Londra 2012. Tutti e 8 (5 individuali e 3 a squadre) conquistati da dilettanti di Stato: Aeronautica, Carabinieri, Corpo forestale, Guardia di finanza e Polizia. Dov’è l’individualista “liberal sportsman” che fa ogni cosa da sé? Oppure il tizio è retto unicamente dall’associazione di rione? O dal di lui conto in banca? Scherziamo?

 

 

Parliamo del fenomeno di college e università statunitensi fabbricatori di campioni e donatori di lauree. Non si è mai voluto affrontare, per correttezza politica, il parallelismo fra la preparazione sportiva accademica negli Usa e quella degli Stati di socialismo reale (e quella nostra). La stessa cosa dal punto di vista tecnico ma con una ben marcata differenza: nei paesi rossi (e in Italia) era/è normale che un campione si mettesse/si metta in luce anche negli studi e nelle attività scientifiche in casa come all’estero; diversamente, negli Stati Uniti i risvolti sociali delle medaglie d’oro sono pari allo zero assoluto, o quasi.

 

L’Occidente era allora il mondo dell’assoluto dilettantismo il quale – stoicamente – si opponeva alla masnada dei cripto-professionisti comunisti divora tutto? E poi perché professionisti? Per via del fatto che lo Stato permetteva loro di allenarsi nelle ore di lavoro, regalandogli qualche barretta di cioccolato? La purezza sportiva a ovest dell’ex cortina è la favola del “nonno Dc” raccontata al nipotino di 3 anni. Vogliamo continuare? Per quanto riguarda il contro-mito che gli sportivi comunisti vincessero grazie alla chimica, non desidero soffermarmi più di tanto: centinaia d’esempi all’interno del “mondo libero”, Italia compresa, hanno dimostrato ch’era ed è pratica comune.

 

Altra tipica diceria da bar era quella per cui, qualora non avessero conquistato l’oro, gli atleti comunisti sarebbero stati immediatamente trucidati e i loro corpi gettati in apposite fosse comuni scavate a memento nei pressi delle rispettive palestre. Già l’opus primum di Marco Bagozzi, dati e fatti alla mano, mette alla berlina tali argomenti da bettola: ridiamoci sopra e stop. Ma non è finita qui.

 

Andiamo al calcio e alla tesi per cui i nostri strapagati multimilionari, se avessero preso parte alle Olimpiadi, le avrebbero vinte tutte. Risum teneatis amici?

 

A bandiera rossa ammainata, si stabilì che a partire dalle eliminatorie per le Olimpiadi del 1992 (Barcellona) avrebbero partecipato le under-21 e, da quelle del 1996 (Atlanta), le under-23 con 3 fuori quota. Si trattava pur sempre di calciatori di serie A, gli stessi professionisti a cui erano stati negati i giochi olimpici dal 1948 al 1988. Va però detto che l’Italia aveva già schierato giovani calciatori, professionisti, a Monaco 1972 e Mosca 1980 (l’under-21, che venne eliminata alle qualificazioni in entrambe le occasioni) e quindi Los Angeles 1984 e Seul 1988 (l’under-23). A titolo esemplificativo della lista di figure barbine raccolte dai nostri professionisti del pallone, basterà ricordare lo storico 4-0 rifilatoci dallo Zambia il 19 ottobre del 1988, quando assieme all’under-23 giocavano 3 campioni d’Italia in carica. L’almanacco Panini del 1989 parlò di «vergognosa e netta sconfitta»(1).

 

Cosa è accaduto dal 1992 a oggi, con l’Europa libera dal comunismo? La miserabile medaglia di bronzo sui disastrati iracheni nel 2004, a cui va rammentato un fermo alle qualificazioni per Londra 2012 a opera della “comunista” Bielorussia di Lukašenko. Questo il quadro d’approdo dei grandi professionisti dei miei subbutei.

 

Allontanandoci dal mondo allegro dei professionisti veri, giungiamo a Patria, popolo e medaglie di Bagozzi. La Repubblica popolare democratica di Corea (Rpdc) è uno dei pochi Stati socialisti sopravvissuti, benché le condizioni d’isolamento in cui versa non abbiano mutato in alcun modo i presupposti su cui si basa il movimento olimpico nazionale: senso del paese, perfetta organizzazione, serietà dell’individuo e partecipazione governativa.

 

Storicamente, la Corea del Nord enumera presenze ed esperienza internazionali da far invidia ai paesi emergenti e a gran parte degli altri Stati, nonostante i considerevoli problemi sollevati da Seul fra Comitato olimpico internazionale e federazioni varie.

 

Nel 1960 Sim Kun-Dan batté il primato mondiale dei 400 metri piani con 53” ma il suo record non fu ratificato dall’Associazione internazionale delle federazioni di atletica leggera poiché i nordcoreani non ne erano membri. Due anni dopo, Sim fu la prima donna a scendere sotto i 52” con 51.9”. Questa volta il risultato fu registrato e il record durò 7 anni.

 

Dal primo oro olimpico di Ri Ho-Jun nella carabina di 50 metri (record mondiale 599/600) sono passati 44 anni, ma anche prima di Monaco 1972 Pyongyang aveva già calcato le scene. Protagonista ai Games of the new emerging forces (Ganefo), organizzati nel 1963 da Albania, Cina popolare, Egitto, Indonesia e dalla stessa Nord Corea in funzione antimperialista e antirazzista. I Ganefo raccolsero oltre 50 paesi tra cui l’Italia; la Rpdc giunse quinta («Durante i Ganefo del 1963, Sim supera i record mondiali sia dei 400 sia degli 800, ma i due tempi non vengono riconosciuti, così come i due tempi registrati a Pyongyang nel 1964: 51.2” nei 400 e 1’58” negli 800»). Nel 1964 ci fu l’argento all’esordio nordcoreano alle Olimpiadi invernali di Innsbruck con un’altra donna, Han Pil-Hwa, nel pattinaggio velocità 3000 m.

 

Bagozzi ci fa tuffare nella memoria di archivi inesplorati, offrendo una seria analisi di come lo sport, se ben coltivato e amministrato, dia soddisfazioni che cementificano il sentimento nazionale di uno Stato sia negli scenari sportivi del futuro, sia in quelli geopolitici. È da segnalare, inoltre, un volume dell’autore sullo sport della Mongolia, apparso pochi giorni dopo.

 

Per approfondire: L’eccezionale calcio della Corea del Nord

 

(1) Ecco la formazione dei “livingstone” dello Zambesi: Tacconi (Juventus, 33 anni); Tassotti (Milan, cap., 28), De Agostini (J., 27); Cravero (Torino, 24), C. Ferrara (Napoli, 21), Iachini (Verona, 24); Mauro II (J., 26), Colombo (M., 27), Carnevale I (N., 27), Galia (J., 25), Virdis (M., 31). Sostituzioni: Pellegrini I (Sampdoria, 25) per Cravero; Crippa (N., 23) per Colombo. In panchina: Giuliani (N., 29), Brambati (T., 22), Desideri (Roma, 23). Allenatore: Rocca.